STORIA DELLA CRIMINALE JOY, COLPEVOLE DI ESSERE CLANDESTINA.

 
Immaginate un posto sporco, poco curato e malmesso, dove persone sono lasciate in balia di sé stesse, private di gran parte dei propri beni personali, picchiate e drogate a loro insaputa. Pensate a un posto dove chi ha il compito di sorvegliarvi ha il pieno potere su di voi: il potere di pestarvi con futili motivi, di calpestare la vostra dignità o, addirittura, di stuprarvi, nascosto agli occhi dei media. Aggiungendo qualche svastica e una camera a gas, si potrebbe dire che ci troviamo in un lager nazista. Ma, purtroppo, la realtà è ben diversa: ci troviamo in un CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione), quello milanese di Via Corelli, precisamente, dove qualche tempo fa ha avuto luogo un episodio che ha della bestialità, dell’assurdo e (purtroppo) anche dell’indifferenza mediatica. Una sera di inizio estate 2009 Joy, una giovane ragazza nigeriana, introdotta illegalmente nel nostro paese (a fine di prostituzione), e quindi mandata in un CIE per la futura espulsione, subisce un tentativo di stupro dall’ispettore capo del centro Vittorio Addesso; la reazione della donna e l’ intervento di una testimone, chiamata Hellen, riescono a evitare il peggio. Pochi giorni dopo, in seguito all’approvazione del pacchetto sicurezza che prolunga la permanenza nei centri fino a sei mesi, nel CIE scoppia una protesta e, durante la notte, Joy viene raggiunta e picchiata (assieme alla compagna di cella Hellen) dallo stesso ispettore che aveva cercato di stuprarla. Il  20 agosto 2009, durante il suo processo per direttissima assieme ad altri ospiti del centro indagati per incitazione alla rivolta, Joy denuncia le violenze subite, ricevendo (a ottobre) una contro denuncia per calunnia e venendo mandata a trascorrere la pena nel carcere di San Vittore, dove passerà tre mesi. Dopo essere stata trasferita in un carcere di Como, Joy viene nuovamente inviata in un CIE (quello di Roma), dove il 17 marzo un funzionario dell’ambasciata nigeriana le annuncia che sarà rimpatriata. Ma la cosa, per Joy, è forse peggio di quello che ha patito nel nostro paese: infatti, in Nigeria, un sicario inviato dai suoi ex-sfruttatori (che Joy non ha potuto contattare, non potendo usare il cellulare nel CIE) ha già fatto uccidere suo padre, suo fratello e sua sorella, minacciando di uccidere pure lei nel caso tornasse in patria. Fortunatamente la sua storia ha avuto un certo risalto, permettendo a Joy (grazie all’intervento di più avvocati dei comitati di protesta) di rimanere in Italia nonostante il nulla osta dell’ambasciata, dove adesso sta affrontando un processo per il riconoscimento dei maltrattamenti di cui è stata vittima, che le concederebbero il diritto di permanenza nel nostro paese. Ma la situazione non è delle migliori: la conclusione della vicenda è ancora incerta; benché non siano incerte le sofferenze, le perdite e i sacrifici che Joy ha dovuto sopportare in un paese che è considerato ‘‘civilizzato’’. Spontaneamente, viene da chiedersi quanta civiltà sia presente in questo sistema di ingiustizie a stampo statale. E tutto per cosa? Perché ci si possa sentire al sicuro vedendo persone (che scappano da guerre e disagi per cercare di iniziare una nuova vita dove le possibilità sono maggiori) rinchiuse in veri e propri centri di tortura e degrado, con l’unica accusa di non avere fogli di carta o timbri che assicurano la salvezza. C’è, però, sicuramente qualcosa che ogni immigrato (sia pure irregolare) porta con sé: la speranza. La speranza di cambiare la propria situazione e quella dei propri cari in meglio. La speranza di non dover più avere paura o patire la fame. La speranza di ricevere poco da chi ha tutto. La speranza di essere accolto. E cosa diamo loro? Indifferenza, leggi xenofobe, nuovi campi di concentramento e un odio che, dopo l’olocausto, sarebbe dovuto svanire, schiacciato dalla ragione e dallo spirito di fratellanza per i quali l’uomo si crede il superiore tra gli esseri viventi …
 
 
 
Rete Studenti Milano
 
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