Oggi sono venuta alla Mayday perché mi hanno detto che qui troverò migliaia di persone come me.
E io come sono?
Mi chiamano precaria, disoccupato, studentessa non meritevole, cassintegrato, bamboccione.
Mi chiamano anche madre single, gay, convivente, lesbica, straniero…
Tutti hanno bisogno di chiamarmi in qualche modo: in base a come mi chiamano
possono decidere che diritti ho. Così posso provare a chiedere un sussidio,
iscrivere mio figlio all’asilo, mettermi in lista per una casa, e così via.
Ma se il mio nome non è fra quelli giusti, io non avrò nulla. Se mi va male,
sarò pure discriminata, criminalizzato, espulsa.
Ogni identità segna un confine fra me e i miei desideri, la mia libertà, la mia autonomia.Ogni identità corrisponde ad un ruolo, ogni ruolo definisce uno stereotipo,
e gli stereotipi servono per controllarci. Per metterci fra i normali o fra
gli anormali, per escluderci o includerci a forza, per renderci ricattabili.
I generi sono un’identità costruita intorno a ruoli e stereotipi.
Chi li utilizza vuole governarci secondo leggi che mettono ordine.
Ma quell’ordine si regge sulle diseguaglianze, sullo sfruttamento,
sull’inferiorizzazione. È l’ordine della sicurezza e dei militari per le
strade, dell’utilizzo dei corpi delle donne per giustificare leggi razziste,
del modello unico e santificato del matrimonio eterosessuale, della violenza
su gay, lesbiche, transgender, bisex, della punizione divina per le donne
che abortiscono, dell’imposizione di modelli machisti e sessisti.
Questo per me significa precarietà: è una condizione di vita che mi impedisce di essere
quello che voglio essere io, cioè liber@.
Voglio reddito anche perché…
…la mia autodeterminazione
non ha prezzo!
Foto di Luca Profenna
Foto di alexeidos.net
Rete Studenti Milano
Corsari Milano
Reality Shock (Padova)
le prime sono di luca profenna e le seconde sono mie (cioè alexeidos, disponibili anche qui http://www.flickr.com/photos/alexeidos/4568542448/)
Molto belle le foto. Chi le ha fatte?