Cara professoressa,
le scrivo queste righe consapevole del fatto che dall’anno prossimo non la ritroverò più dietro quella cattedra, a trasmettermi quella cultura, quel sapere per il quale lei ha speso una vita di studio, per il quale lei ha dato quarant’anni della sua vita. Non la troverò più dietro quella cattedra perchè lei per il nostro Stato, per il nostro governo, per il nostro ministro non è nient’altro che un fantoccio, un individuo alienato della personalità e dei diritti, una precaria da muovere e da licenziare da un mese all’altro. Sono entrato a far parte del mondo della scuola cinque anni fa, ancora erano ben visibili le scie della riforma Moratti; ministro in carica era da poco Fioroni, ma il processo di distruzione della scuola sembrava non arrestarsi.
Un grande maestro di vita mi insegnò che non bisogna mai essere indifferenti e dunque capii da subito che non avrei potuto non interessarmi a quella che dovrebbe essere la più importante istituzione di uno Stato democratico, e che invece mi sembrava si stesse riducendo ad una scatola vuota, trasmettitrice di nozioni sterili e non di sapere, quel sapere che un noto rivoluzionario descriveva come unica vera arma, unico strumento per non perdere la libertà, individuale e dei popoli. Con la caduta del governo Prodi ebbi un’effimera speranza in una riforma strutturale dell’istruzione, una riforma volta al miglioramento ed alla rinascita della scuola pubblica, che si ritrovò invece dopo pochi mesi privata di otto miliardi di euro.
Ricordo di Mario – nome di fantasia -, il nostro compagno affetto da un grave ritardo mentale, così contento di essere parte della classe, di poter frequentare la scuola.
Ricorda, professoressa, le sue lezioni tenute in laboratorio? ore e ore passate ad appassionarmi alla sua materia…
Per non parlare delle giornate trascorse in aula informatica.
Ormai solo ricordi; ricordi di una scuola che, devastata dai tagli, non c’è più, di un sistema di istruzione che per molti anni sarà solo un bel ricordo.
I laboratori chiusi, i computer senza soldi per la manutenzione, i docenti di sostegno di Mario licenziati e lui costretto ad abbandonare quel breve ma intenso sogno.
Era il 2008. Fu quello un autunno caldissimo, una moltitudine di persone si riversò nelle piazze; studenti, professori, precari con un’unica richiesta: cultura e saperi come beni comuni liberi dalle logiche di profitto e di mercato.
Con altri studenti decidemmo che era necessario organizzarsi e coordinarsi. Nacque così la Rete Studenti Milano, bellissima esperienza che tutt’ora continua a riunire tutte le scuole della città e a lottare per una scuola pubblica, libera da ogni forma di pregiudizio e accessibile a tutti.
Sono passati ormai tre anni dall’emanazione della riforma e la situazione nelle scuole è ormai tragica: i pochi soldi a disposizione dello stato vengono stanziati sempre più alle scuole private e tolti di conseguenza a quelle pubbliche; ogni anno vengono licenziati migliaia di docenti, quelli che vanno in pensione non vengono sostituiti, le ore di sostegno ridotte e molte volte cancellate; per non parlare dei plessi, fatiscenti e pericolosi; loro la chiamano “riduzione degli sprechi”, io non posso che chiamarla, in linguaggio giuridico, “devastazione e saccheggio”.
Ora che sono giunto alla fine di queste riflessioni, professoressa, mi torna nella mente un discorso di Calamandrei che lei ci fece leggere:
“Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora il partito dominante segue un’altra strada – è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci. Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di previlegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.
Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare prevalenza alle scuole private.”
Ma forse, professoressa, queste parole sono state lette e studiate da qualche nostro ministro, che da esse ha tratto ispirazione per le sue riforme.
Ora la saluto, domani tornerò sui banchi con la tristezza in cuore di non averla più dall’altra parte della cattedra
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